I Fratelli Calvi

Fratelli Calvi Nativi di Piazza Brembana, figli di Gerolamo (1859-1919) per diversi anni Sindaco del paese e di Clelia Pizzigoni (più nota come Mamma Calvi), legarono il loro nome ad eroiche imprese nel corso della prima guerra mondiale; tutti ufficiali Alpini due dei quali Attilio e Santino furono colpiti a morte in azione, il giovanissimo Giannino spirò colpito dalla terribile “spagnola” contratta in guerra.

Natalino morì in tempo di pace precipitando durante una scalata nei luoghi ove aveva combattuto.



Fratelli Calvi

Per il loro valore vennero decorati con sette medaglie d’argento, quattro di bronzo e quattro Croci di guerra.

Alla loro memoria a Bergamo ed in tanti paesi della provincia, furono dedicate piazze, vie e scuole.

Il 3 novembre 1833 a Bergamo, al termine del Sentierone verso la via XX settembre, alla presenza di Madre dei quattro Eroi, di autorità civili e militari, venne inaugurato il pilo portabandiera dedicato ai Fratelli Calvi. opera dell’architetto Pino Pizzigoni, è composto da una base decagonale in marmo bianco di Zandobbio.




ATTILIO nacque il 4 novembre 1889. Forte come il granito dei suoi monti, biondo dal volto illuminato dai grandi occhi azzurri soffusi di dolcezza, ma pur scintillanti di volontà e di ardire, taciturno e anima di poeta, egli adorava la natura, e dinnanzi alla maestà della montagna, di cui sentiva tutta la poesia, esultava e si esaltava. Egli fu un condottiero, un trascinatore: i suoi Alpini lo seguirono ovunque per il suo ardimento, per il suo fascino di comandante, per la sua fede nella vittoria che egli aveva sempre saputo trasformare.

Attilio Calvi Laureato in legge ed avvocato, quando già brillantemente cominciava ad affermarsi nel Fòro bergamasco, i destini della Patria vollero che altro fosse il suo cammino e ben altra fosse la meta della sua esistenza. Nel novembre 1911 Attilio inizia la vita eroica. In quel fosco autunno, Sottotenente del 5° Alpini, nella 51° Compagnia, parte per la guerra di Libia. Sbarcò a Derna con i suoi Alpini e il loro valore brillò soprattutto alla Ridotta Lombardia. Attilio, che si era battuto come un leone, fu decorato di medaglia di bronzo al valor militare. Nella primavera del 1913, reduce dalla guerra di Libia, dove già l’anno prima era giunto il fratello Natalino, faceva trionfale ritorno a Bergamo e a Piazza Brembana, ove i suoi concittadini gli tributarono grandi onori. Allo scoppio della guerra mondiale, Attilio Calvi, Tenente del suo 5° Alpini, il 24 maggio 1915 partiva per l’impervia zona del tonale. Il 21 agosto 1915 egli muove coi suoi Alpini alla conquista di Punta Albiolo, pilastro del Passo Tonale, in mano al nemico. Dopo aspro combattimento la posizione viene espugnata ed Attilio viene decorato di una seconda medaglia di bronzo. Un mese dopo, il 25 settembre, egli muove all’attacco del Torrione dell’Albiolo, altro formidabile pilastro del Tonale, in mano nemica. La posizione viene conquistata e Attilio decorato della sua prima medaglia d’argento al valor militare. Nell’ottobre 1915 Attilio è trasferito al Rifugio Garibaldi, dove s’ incontra con il fratello Natalino, Capitano del 5° Alpini, con Cesare Battisti e con Guido Larcher. Guerriglia insonne, estenuante, asperrima: pattuglie ricognizioni, valanghe, freddi intensissimi, agguati, sofferenze, sforzi d’ogni specie, mentre si prepara la grande impresa dell’Adamello. Il 29 aprlle, eroe magnifico e sublime, nella fase decisiva e più cruenta della grande battaglia, cade col petto trafitto sul campo, ed l’1 maggio a Rifugio Garibaldi, ai piedi della vetta dell’Adamello dove cadrà più tardi Natalino, Attilio Calvi saluta per sempre la vita. Egli è promosso Capitano sul campo per merito di guerra e oltre alle tre già guadagnate, altre due medaglie d’argento fregiano il suo petto senza respiro. Attilio venne inoltre decorato con Croce Francese con palme e con la Croce di guerra.



Natalino Calvi NATALINO nacque il 26 febbraio 1887. Alto e atletico, bruno nel volto e nei capelli, dagli occhi azzurri vivissimi, loquace ed esuberante, talvolta pensoso e cupo, anima pronta e anelante sempre ai gesti audaci e temerari, egli ebbe costantemente un’aspirazione di gloria. Amò la montagna che riuscì sempre a dominare. In guerra, in testa ai suoi Alpini, ebbe sempre la superba fortuna di vincere tutte le battaglie. Terminati gli studi classici, vestita la divisa di Ufficiale del 5° Alpini, il 6 settembre 1913 partì per la guerra di Libia, ove si battè valorosamente sino all’agosto del 1914. Il 24 maggio 1915, Tenente del Battaglione “Edolo” del 5° Alpini, fu subito impegnato nella zona del Tonale, ove ebbero inizio le sue gesta. Promosso capitano nell’ottobre 1915, fu destinato al Battaglione “Val d’Intelvi”, dello stesso Reggimento. Ai primi di novembre 1915 Nino Calvi è trasferito al Rifugio Garibaldi, per assumervi il comando di quei seicento Alpini scelti, sciatori ed arrampicatori, incaricati della difesa attiva della zona dell’Adamello. Tra questi prodi Alpini si trovano da qualche tempo il fratello Attilio, Cesare Battisti e Guido Learcher. Anche Natalino, come Attilio, era amato dai suoi Alpini. Per farsi amare bisognava essere un po’ come lui: essere veri Alpini nell’anima, riconoscere apertamente e lealmente il valore altrui, amare l’ardimento sopra ogni altra cosa, il rischio, le difficoltà e la inaccessibilità della montagna, il sole, la tormenta, tutte la audacie. Era considerato il maestro d’ogni eroismo, d’ogni audacia, ed ognuno l’amava come fosse stato il fratello maggiore. Le motivazioni delle medaglie concessigli, dicono in minima parte il suo eroismo. Il 10 giugno 1917 cade sull’Ortigara il grande fratello Santino, l’eroe del Battaglione “Bassano”. Natalino ne ha il cuore spezzato. Egli riceve la ferale notizia da un superiore, di ritorno da un vittorioso combattimento.

Il 5 luglio il Comandante della Difesa Val Furva, da cui Nino Calvi dipende, porge all’eroe, reduce da gloriosi combattimenti e da una guerriglia continua e snervante, colpito da nuovo dolore per la morte gloriosa di Santino, un commosso saluto ed una forte parola di conforto: “Al valoroso Capitano Calvi l’augurio fervido che egli, superato l’affanno che gli stringe il cuore per la nuova grande sventura che l’ha colpito, possa trovar nell’animo affrnto, ma non domo, novelle energie, pensando che la grande anima dei due eroi sopravvive come è vissuta nella esultanza di una più grande patria. I soldati d’Italia ricorderanno con orgoglio il nome dei Calvi che starà quale novello simbolo ad additare alla postera gioventù i nobili impeti e le sublimi abnegazioni onde è capace l’eroica nostra stirpe latina. Il Maggiore Comandante della Difesa Val Furva Guido Farlenghi.” Dopo cinque giorni dalla morte di Santino, Natalino, col cuore ancora sanguinante, guida i suoi sciatori invitti alla conquista dei ghiacciai sul corno di Cavento e si copre ancora di gloria. L’1 aprile 1918 Natalino assume il comando del raggruppamento mitragliatrici della zona Alto Garda, l’8 settembre è comandante del Battaglione “Monte Suello” sul Grappa, il 23 ottobre, mentre la guerra volge vittoriosamente alla fine, Natalino sul fatidico monte, durante un vittorioso combattimento, è ferito gravemente e rimane mutilato ad un piede. Straordinarie ascensioni compì, che parvero prodigiose. Ma l’ascensione forse più bella, fu quella del Cervino (m. 4482), compiuta da solo, per una via nuova, in condizioni drammatiche e d’inaccessibilità, sconsigliato da tutti coloro che lo videro risolutamente partire, non esclusa la miglior guida Guido Rey. Era finita la guerra, tre fratelli erano già caduti gloriosamente; egli ferito e mutilato, ultimo superstite dei Calvi. La mirabile ascensione fu compiuta poco prima di compiere l’ultima della sua vita, di precipitare. Nei primi giorni dell’armistizio, il 10 gennaio 1919, muore in un ospedale a Padova, stroncato da fiero morbo, il terzo fratello, Giannino. Sottotenente degli Alpini, invano anelante ancora battaglie e vittorie. Natalino rimane solo, inconsolabilmente solo.

Solo il grande Alpino !
Amareggiato dall’incomprensione di molti, già ferito e mutilato, il glorioso superstite dei Calvi fece ritorno alla vecchia casa paterna, a confortare la fiera e dolorante madre, a parlarle delle sue battaglie e dei suoi Alpini, a descriverle le fasi delle lotte mirabili ov’egli aveva vinto, ov’egli aveva visto cadere da eroi i fratelli. Nelle lunghe sere invernali egli avrebbe rievocato le imprese di Attilio sull’Adamello candido e gelido più della morte; le gesta di Antino al Rombon e all’Ortigara e la madre avrebbe ascoltato fremente di orgoglio e di dolore, e forse i suoi aridi occhi avrebbero avuto ancora il dono delle lacrime al ricordo di Giannino, l’adolescente volontario, che aveva disertato i dolci affetti famigliari per correre in linea, là dove era la morte che già aveva mietuto due suoi fratelli. In lui solo ormai, in Natalino, confidava e sperava, la disperata angoscia materna. Ma Natalino era tornato senza sorriso; le grandi battaglie alpine lo avevano sensibilmente trasformato, la sua anima era mutata e mutilata. Egli pareva spesso assorto e assente, pareva non più vedere e discernere le cose vicine, ma guardare sempre lontano, e lo sguardo sembrava fisso e acuto come quando era sui campi abbacinati di ghiaccio dell’Adamello. Lassù eran rimasti per sempre il suo sorriso, la sua giovinezza, la sua vera vita. La madre non poté trattenerlo. Ed il vincitore di cento battaglie, l’eroe invulnerato del Cavento e delle più aspre conquiste alpestri, dolorante ancora di molte ferite e di amarezze, osò da solo, con un piede mutilato, ciò che nessuno avrebbe mai osato, né mai forse oserà: l’ardimento più bello della sua vita: la vetta dell’Adamello, parete Sud, da quel “Rifugio Garibaldi”, donde con sublime slancio, Attilio si era mosso incontro alla gloria e dove aveva serenamente chiuso per sempre gli azzurri occhi. All’alba del 16 settembre 1920, Natalino, sdegnando i consigli, solo con la sua forza, col suo dolore, mosse incontro al gigante e intrepidamente attaccò la cupa e maestosa parete di roccia, mille metri di dislivello vertiginoso. Gli amici, dopo aver invano tentato di dissuaderlo, trepidanti e sgomenti lo seguirono con lo sguardo. Saliva, saliva sempre l’eroe, strisciando, trascinandosi, sollevandosi lentamente di spigolo in spigolo, con le unghie e coi denti, colla fronte, abbracciando e accarezzando la terribile roccia per domarla con tutti i suoi nervi tesi e vibranti. La vetta, la grande mèta sognata è ormai vicina. Il sogno sta per divenire realtà. Ma una valanga scroscia improvvisa con rombo pauroso da un canalone della terribile parete. Il dramma umano ormai si compie. L’Eroe è caduto. Natale Calvi precipita rimbalzando di roccia in roccia nel vuoto. Oltre alle due medaglie d’argento e a quella di bronzo al valor militare, egli fu decorato con medaglia d’oro del Battaglione “Monte Suello” e alla memoria venne concessa la Croce di guerra.



Santino Calvi SANTINO nacque il 3 maggio 1895. Alto e aitante, biondo, forte come un leone, dagli occhi fiammeggianti e chiari in un volto quasi d’adolescente, irrequieto ed indomito, santino, “il Ribelle”, parve assommare in sé, nella forma più perfetta e nella misura più eccelsa, le virtù gagliarde e combattive del buon nome bergamasco. Insofferente della disciplina formale, inutile, vuota, spirito indipendente, sentì perfettamente quella vera, utile e necessaria: quella del dovere e del campo di battaglia. Eroe di mille ardimenti, all’Ortigara, precisamente al Passo dell’Agnella, ove più aspra infuriò la battaglia, in cui furono annientati in poche ore dozzine di battaglioni Alpini. Tornavano spesso, nella loro giovinezza, i quattro fratelli alla vecchia casa, che ha davanti il fiume scrosciante ed in alto le vette verdeggianti; tornava spesso Santino alla sua valle con l’ostinata passione di un innamorato. Il silenzio dei nevai, lo scroscio dei torrenti, i misteriosi suoni delle distese assolate parlavano parole arcane alla sua mente. Per un anno Santino lasciò le aule del liceo di Bergamo, dove studiarono tutti quattro i fratelli. Fu ad Oneglia, ed al liceo di questa città portò tutta l’esuberanza della sua vita, idolo dei compagni, tormento dei professori. Ed anche ad Oneglia si fece conoscere per la generosità del suo cuore; in un incidendo una donna ebbe la lui salva la vita.. Quando sante tornò alla sua Bergamo, tra i suoi compagni, s’era fatto robustissimo. Era un turbolento, perché non poteva essere un ignavo, ogni moto generoso lo entusiasmava e lo trascinava.

Non c’era agitazione di studenti che non l’avesse anima e guida. Ed i giovani si lasciavano trascinare da lui e gli obbedivano, perché egli aveva il coraggio, rarissimo negli uomini e specie nei giovani, di assumersi le responsabilità; si faceva garante dei compagni, intermediario fra la rivolta e l’ordine. Nell’autunno 914, Santino Calvi era già soldato. Aveva terminato il liceo e si era iscritto alla facoltà di giurisprudenza nell’Università di Torino. Partiva volontariamente, qualche mese prima della chiamata della classe di leva. Il 24 maggio, Sottotenente del 6° Reggimento Alpini, combatteva al confine; cinque giorni più tardi il suo valore gli meritava la sua prima medaglia d’argento. Pochi giorni dopo, santino, che delle sue azioni di guerra parlava poco, scriveva al padre queste semplici parole: “Io stò benissimo, sono stato proposto per la medaglia al valore perché nel fatto d’armi del 30 maggio, ho raccolto e portato al sicuro tre feriti sotto il fuoco delle mitragliatrici nemiche. Niente di straordinario: ho fatto il mio dovere.” Così Santino aveva cominciata la guerra. L’eroe Antonio Locatelli, tre volte medaglia d’oro, bergamasco anch'egli, che intimamente conobbe i quattro fratelli Calvi, un giorno disse di Santino: ”Io non conobbi in tutta la guerra un valoroso che lontanamente gli potesse assomigliare: il suo ardore e la sua passione di combattrere erano prodigiosi”. Nei primi mesi di guerra una leggera ferita aveva potuto intaccare il suo corpo robusto; ma il 12 dicembre 1915, in un’azione notturna, salendo una cordata, una pallottola lo colpiva alla guancia: entrata nella bocca, gli usciva dalla mandibola frantumandola: Quattro mesi fu all’ospedale; agli amici raccontava con semplicità della sua ferita e, celiando, diceva di aver avuto la sensazione di un potentissimo manrovescio.

La vita della corsia non era fatta per lui, assetato di libertà.
Fu la disperazione dei medici; metteva in opera gli stratagemmi più ingegnosi e più strani per varcare inosservato la porta dell’ospedale. Gli infermieri lo credevano a letto, ed invece ascoltava soddisfatto la musica, placidamente seduto in un teatro a cinquanta chilometri di distanza. Girava in città con la testa avvolta nelle bende; i medici gli presagivano per intimorirlo gravi complicazioni; s’ebbe la resipola, la superò e se ne mostrò molto contento perché, diceva, era scongiurato il pericolo di buscarsela. L’ 1 maggio 1916 moriva il fratello Attilio; Santino rinunciò alla licenza e, ancora convalescente, raggiunse la trincea. La cicatrice lunga e profonda che gli incideva la guancia dava al suo volto un aspetto ancora più deciso; portava nei lineamenti l’impronta del fratello caduto e in cuore, fiero, il proposito di vendicarlo. Il pericolo lo attraeva e lo esaltava. Il suo cuore esuberante sentiva il bisogno di vivere intensamente e il rischio soltanto pareva appagarlo. Il 24 maggio 1916 (era allora Tenente del Battaglione “Bassano”, a Monte Campigoletti si guadagnava un’altra medaglia di bronzo. Il Generale Pecori-Giraldi gli aveva rivolto un encomio solenne; ed oltre ai due nastrini azzurri, ornava il suo petto una decorazione russa: la croce di Cavaliere di San Stanislao. S’avvicina l’ora sua più bella: l’ora della gloria e del sacrificio, la grande giornata dell’Ortigara. Egli comprende che quella certamente sarà l’ultima sua giornata. Accadde spesso agli eroi di presagire esattamente ed infallibilmente la propria fine in un determinato combattimento, dopo averne affrontati gloriosamente molti altri.

Egli non ritornerà, intuisce che non ritornerà.
Ma la mamma deve credere al suo ritorno: Ed egli le invia, come un commiato, pacamente ma con infinita tristezza, il suo ultimo bacio, il suo ultimo saluto. Ed egli aveva infatti presagito giusto: Santino Calvi alle ore 17 del 10 giugno 1917, nella più bella mischia dell’Ortigara, innanzi ad una schiera di eroi, cadeva gloriosamente sul campo. Lo sapeva bene di morire, lo aveva pur detto chiaramente ai suoi Alpini, attoniti al mattino, prima dell’attacco: “Vedrete oggi, come sanno morire gli ufficiali degli Alpini italiani !” Il Passo dell’Agnella è conquistato (ore 17). I morti ricoprono a mucchi il terreno sconvolto e fumante, gli ufficiali sono quasi tutti caduti. L’eroe, che la morte ha sinora risparmiato, conquistato il Passo dell’Agnella, insiste nell’assalto a un’altra avanzata e forte trincea. Il destino si compie. Mentre sta per balzare su una ridotta, una palla lo colpisce mortalmente alla testa ed alla spalla. Santino cade e si rialza, barcollando, come colpito da una gran mazzata. Egli per un istante sembra rimesso dal terribile colpo delle ferite mortali e le gambe lo reggono ancora, si volge a quella dozzina di Alpini che lo segue e che quell’istante pare rallento lo slancio. Quel viso non è più di Santino Calvi: è un viso irriconoscibile , inondato di sangue. Ma mentre incitava i suoi a proseguire, gettandosi in avanti, un’altra pallottola lo colpisce al cuore. Cadendo in ginocchio a terra, come un gladiatore vinto e non domo, mentre si sente ormai prendere dal gelo mortale, l’eroe sentenzia sicuro nel suo forte dialetto bergamasco, serenamente, ma con infinita amarezza, come dolente di non poter più oltre vivere e combattere: “chèsta l’è chèla giosta”. E così, dopo essersi sollevato da terra ed aver con le mani annaspato nel vuoto per scagliare più oltre il suo coraggio e la sua anima, cade a terra supino, gli occhi lucenti, fissi lontano sul nemico in fuga. Risulta chiaramente dagli atti ufficiali del 6° Reggimento Alpini, dai documenti ufficiali e privati di tutti i suoi superiori, che l’eroico ufficiale fu proposto per la medaglia d’oro. Alla sua memoria fu invece assegnata la medaglia d’argento la cui motivazione esalta tuttavia la sua magnifica impresa. A Santino Calvi venne inoltre concessa la Croce di guerra e una targa d’oro dagli Alpini e colleghi superstiti con la seguente dedica: Alla memoria di Santino Calvi eroe dell’Ortigara”.



Giannino Calvi GIANNINO nacque il 6 maggio 1899. Alto biondo, dal viso di fanciullo, l’espressione dolce dei suoi occhi azzurri rifletteva la semplicità della sua anima. Era un mistico: il sacerdozio gli sembrava, sin da bambino, dover essere la missione della sua vita. I fratelli che avevano a lungo insistito, lo distolsero. Soltanto per amor loro aveva rinunciato. Quando Attilio, fra gli immensi nevai dell’Adamello, fece il grande olocausto di sé, Giannino sentì la perdita come un colpo terribile; il dolore parve prostrarlo quando cadde Santino. Divenne mesto, profondamente mesto, ma lo sorresse la volontà di combattere e di vendicare il fratello. Dalle sue lettere dolci ed infuocate indirizzate alla mamma, irradia tutta la nobiltà dll’anima sua, si sublima l’amore per la Patria e per la Famiglia. Aveva voluto essere a tutti i costi Alpino anch’egli; s’apprestava a partire ai primi di giugno del 1917 quando venne la nuova ferale notizia; Santino combattendo da leone nella grande battaglia dell’Ortigara, era caduto colpito al cuore.

E mentre la famiglia piangeva senza consolazione, Giannino partì straziato, ma calmo, forte e risoluto. Egli che non pareva potesse odiare, odiava ora terribilmente il nemico che gli aveva ucciso i fratelli e voleva vendicarli. Era anelante di combattere. Rifiutò sdegnoso l’esonero dalla prima linea, che la legge degli uomini gli concedeva, ma che gli vietava la legge della sua coscienza. Dopo il corso Ufficiali a Parma, fu assegnato alla Compagnia Mitraglieri comandata dal fratello Nino. Insieme i due fratelli cercarono la battaglia e la gloria; Giannino il novizio, Nino il veterano. Ma solo in ottobre, dopo qualche giorno forzatamente trascorso in seconda linea, dietro insistente e persino indisciplinata loro domanda, furono inviati alla lotta cruenta, nella mischia bramata.

Furono insieme sul Grappa. Si batterono con estremo eroismo: Nino fu crivellato di ferite, Giannino rimase incolume. La giornata fatidica del 4 novembre 1918 lo trovava coi suoi Alpini oltre Feltre all’inseguimento del nemico disfatto. La guerra era terminata e vinta. Il fratello prostrato dalle ferite a dall’epidemia che non l’aveva risparmiato neppure nel letto d’ospedale, si rimetteva a poco a poco; Giannino ancora sotto le armi, ora che la guerra era finita, che tutto era compiuto, non pensava ormai che ritornare alla famiglia e agli studi. Un po’ di amarezza tuttavia gli rimaneva nell’anima; forse gli pareva di non aver combattuto abbastanza, lui che aveva voluto ripetutamente guardare in faccia alla morte che gli aveva portato via i fratelli. La morte lo frodò; egli l’aveva desiderata ardentemente nell’urlo e nell’urto dell’assalto, tra l’incrociar di baionette e dei pugnali, il crepitio della mitraglia, il fragore delle bombe; avrebbe voluto cadere nella vertigine della battaglia, nell’ebbrezza della mischia, come i fratelli, non dopo averla sfiorata più volte sul Grappa, esser ghermito dalla morte in ospedale. Il fiero morbo epidemico invece lo colse e lo stroncò d’un tratto, distrusse sì sublime giovinezza. Febbricitante, scrisse alla mamma il 4 gennaio 1919: “Vado all’ospedale di tappa di Padova con la febbre spagnola. Non spaventarti, chè pare, benché abbia la febbre abbastanza forte, in forma benigna. Bacioni Gianninino”. Scrisse il 5 gennaio al padre l’ultimo suo scritto: “Carissimi, sempre febbre catarrale alta (38,5). Spero bene. Bacioni Giannino”. Vinto sul letto d’agonia, senza imprecare a nessuno e a nulla, anch’egli, nel delirio, combatteva nella mischia sognata, nell’assalto agognato morendo da prode come i suoi Fratelli. Anche a Giannino verrà concessa la Croce di Guerra.

Il 23 ottobre 1921 le salme dei quattro Fratelli Alpini giungono dai desolati cimiteri del fronte a Bergamo, dirette al paese natio. Tornano alla loro terra, per aver pace accanto alla deserta casa paterna. Riposano nella cappella di famiglia nel cimitero di Piazza Brembana vicino a tutti i loro famigliari.

Fratelli Calvi
Lapide a ricordo dei Fratelli Calvi
posta sul Monumento ai Caduti di fronte
alla casa ove nacquero
Fratelli Calvi
La cappella della Famiglia Calvi
nel cimitero di Piazza Brembana



- I Fratelli Calvi
- I Fratelli Cattaneo
- Pizzigoni Clelia ved. Calvi detta "Mamma Calvi
- Giovan Battista Calegari
- Don Stefano Palla
- Silvio Carminati
- Egidio Gherardi